Il problema della morale nella Critica della ragion pratica
Nella Critica della ragion pratica si afferma che la legge morale è un ''fatto della ragione'', ed è incondizionata, universale e ha la forma del ''comando'' perché deve contrastare la sensibilità e gli impulsi egoistici.
Inoltre si afferma che la ragion pratica coincide con la volontà, la quale è la facoltà che permette di agire sulla base di principi normativi:
- le massime: prescrizioni di carattere soggettivo;
- gli imperativi: prescrizioni di carattere oggettivo.
Gli imperativi sono distinti a loro volta in:
- imperativi categorici;
- imperativi ipotetici.
Nel trattato l'azione è morale nel momento in cui è compiuta solo in vista e per rispetto del dovere e soddisfa il principio di universalizzazione, il quale è ampliato attraverso le tre formulazioni dell'imperativo categorico, che impongono di agire:
A differenza di Hume, Kant sostiene che il vizio e la virtù si basano sulla ragione e non sulla sensibilità e rientrano in una morale universale e necessaria. Difatti è bene ciò che che è conforme alla legge morale inscritta nell'uomo.
- ''soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale'';
- ''in modo da trattare l'umanità, sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo'';
- in modo tale che ''la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice''.
Infine viene descritta la moralità, la quale richiede la conformità al dovere ma anche la convinzione interiore. In essa l'uomo si eleva al dis opra del sensibile e delle leggi della natura e su di essa si fonda la religione. Infatti le principali dottrine religiose sono postulati della ragion pratica. L'esistenza di Dio garantisce la possibilità del sommo bene e l'immortalità dell'anima garantisce la realizzabilità del sommo bene.
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